Interventi

Daria Martelli, “Il nuovo sito di Effe”, Leggere Donna, a. XXXVI, n.170, gennaio febbraio marzo 2016.  

Dal 10 dicembre 2015 Effe è on line: gli articoli sono riprodotti come testi accessibili e rintracciabili per parole chiave. In questa data il sito è stato presentato a Roma, alla Casa Internazionale delle Donne, dove è stata allestita una Mostra con i vari numeri della rivista, i manifesti, le locandine e le fotografie del suo archivio. Dall’epoca della macchina per scrivere e del ciclostile la storica rivista approda a quella di internet: un recupero che emoziona quante vissero la fervida stagione degli anni settanta e l’inizio esaltante della liberazione dal millenario sistema patriarcale.
La pubblicazione di Effe ebbe inizio nel 1973 e cessò nel 1982. La redazione era a Roma, ma riceveva collaborazioni da ogni parte d’Italia e la stessa disponibilità di questo spazio, libero da censure e da svalutazioni sessiste, stimolava la creatività femminile. La rivista era finanziata dalle sottoscrizioni, dagli abbonamenti e dalle vendite, che ne garantivano l’autonomia. Fin dal titolo – Effe come l’iniziale di femminismo –  dichiarava la sua ispirazione al Movimento femminista, che stava sviluppandosi in Italia e all’estero, e dava le notizie delle sue iniziative, pur non essendo legata a nessuno dei suoi  gruppi.  Dotata di una veste grafica agile e accattivante, ricca di immagini – dovuta alla pratica giornalistica delle redattrici – ricorreva spesso all’ironia e alla provocazione. Un esempio di questo efficace stile è il disegno che, nel numero zero, datato 1973,  illustrava un articolo sugli anticoncezionali, più eloquentemente del testo: la figura di un uomo incinto, completata dalla scritta: “Se succedesse a lui, ci starebbe più attento.” Sulla copertina di questo primo numero, che, pur non essendo in vendita, ebbe una grande diffusione militante, compariva la foto di un tipico macho, il petto villoso in mostra, la patta dei calzoni allusivamente sbottonata, l’espressione del volto stolida e truce. La didascalia dell’immagine sottolineava la reciprocità, compensatrice e liberatoria: “Che è costui? Assolutamente nessuno. È l’equivalente delle donne seminude che si vedono sulle copertine dei rotocalchi.” Finalmente anche l’uomo diventava l’oggetto dello sguardo critico femminile, come l’oggetto dello sguardo maschile è stata per millenni unicamente  la donna.
Sullo stesso numero il lucido editoriale della scrittrice e giornalista Gabriella Parca  tracciava la linea di questo primo “settimanale di controinformazione femminile”. Effe si opponeva esplicitamente ai “settimanali femminili” che dominavano il mercato editoriale, accusandoli di operare un “lavaggio dei  cervelli”. E si proponeva di aiutare le donne “a prendere coscienza della loro condizione e dei loro reali problemi” e “a  ritrovare l’orgoglio di essere donna, che per essere diversa dall’uomo, non per questo non è pari a lui”. Parca concludeva: “Per noi di Effe il femminismo è innanzi tutto un nuovo umanesimo, che porta alla scoperta della donna, come l’altro portò alla scoperta dell’uomo, liberandolo dai miti medievali in cui era irretito. E siamo convinte che solo attraverso la liberazione della donna si possa arrivare ad un reale, autentico rinnovamento della società.”
La riproposta on line di Effe conserva la memoria storica del Movimento femminista, per il quale la rivista fu un punto di riferimento. E insieme afferma la continuità della nuova cultura al femminile, in una tradizione di genere che è sempre stata difficile e che rischia continuamente di essere interrotta. Infatti sulla rivista furono anticipate molte tematiche che nei decenni seguenti vennero sviluppate negli studi e nelle politiche di genere e questi primi contributi di riflessione e di denuncia appaiono ancor oggi validi e attuali: tra i tanti temi trattati con la nuova ottica erano la contraccezione, l’aborto, la maternità, la violenza sessuale, il lavoro femminile, le leggi, la storia delle donne e il recupero della loro produzione culturale cancellata, l’immagine della donna usata dalla pubblicità e dai mass media, gli stereotipi sessisti, le fiabe, l’insegnamento impartito nella scuola, il linguaggio.
In un mio articolo, uscito nel  gennaio 1974 (a. II, n. 1), intitolato “I persuasori occulti” e firmato Anna Cardano, lo pseudonimo che usavo per la collaborazione, rivolgo una critica di genere ai libri di testo scolastici delle varie materie, storia, letteratura, filosofia. E affermo: “per l’alunna studiare su questi manuali che la escludono o la disprezzano in quanto donna diventa un condizionamento masochistico”. In  particolare mi soffermo sui condizionamenti esercitati dai libri, in uso nella scuola media superiore, che apparivano i più innocui: quelli degli esercizi di traduzione su frasi di autori latini e greci. I passi proposti agli alunni e alle alunne erano privi di un’introduzione critica che li storicizzasse e ne rendesse esplicite le implicazioni ideologiche, neutralizzandole. Così, nella pratica pressoché quotidiana della traduzione,  i valori e gli stereotipi della cultura patriarcale venivano introiettati in modo affatto inavvertito, come una specie di messaggi subliminali. 
In un altro articolo (a. II, n. 7-8, luglio-agosto 1974), “L’uomo e la marionetta. Note femministe in margine a un libro di divulgazione scientifica”, conduco un’analisi dei modi espressivi usati nel saggio di Piero Angela (Garzanti, 1972), prendendoli ad esempio del sessismo occulto e inconscio del linguaggio, presente anche in un libro in cui pure si dichiarano intenzioni progressiste.

http://efferivistafemminista.it

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