Pablo G. Valdès, Intervista con Daria Martelli, 26 maggio 2020. Tesi di dottorato, Università di Oviedo (Spagna).

D. – Quali sono le fonti di ispirazione di cui si serve quando scrive?
R. – “Nella mia produzione culturale occorre distinguere, da una parte, le opere d’invenzione, la narrativa e il teatro, due generi contigui, e, dall’altra, le opere saggistiche in prospettiva storico-antropologica; due modi di esprimermi e di pormi, usando ogni volta diversi strumenti concettuali e culturali, nei saggi storici con rigore metodologico, attenendomi alle fonti, ma ponendo loro domande nuove, invece nella narrativa e nel teatro con libertà creativa.

I diversi generi che pratico si forniscono a vicenda le fonti di ispirazione. Per la narrativa e per il teatro attingo spesso alla storia, ma traggo spunti e materia anche dal vissuto colto nella realtà di oggi. Da un genere all’altro e da un’opera all’altra si richiamano i temi e, per esempio, la strega contadina del mio dramma Le streghe è segretamente apparentata con la “doctissima” scrittrice Moderata Fonte, protagonista di altre mie opere, due figure che in modi diversi sono riuscite a esprimere la propria originalità femminile, nei secoli della repressione e dell’alienazione.”

D. In More Veneto unisce ricerca storica e finzione letteraria. Come affronta la documentazione e la (ri)costruzione della Storia nelle Sue opere?
R. – “Per i secoli più lontani le fonti per la storia delle donne sono scarse, frammentarie e reticenti, mentre di solito abbondano quelle per la storia degli uomini, anche questo un effetto della dominante cultura patriarcale e la principale difficoltà per le storiche impegnate in questo ambito disciplinare.

Sulla scrittrice Moderata Fonte, pseudonimo letterario di Modesta Pozzo (1555-1592), le notizie biografiche sono scarse e i documenti d’archivio forniscono pochi e aridi dati; peraltro un vissuto dissimulato si può intravedere nel suo dialogo Il merito delle donne, che è esso stesso una preziosa fonte storica per la condizione della donna nel suo tempo. In queste difficili condizioni documentarie, pur fondando la costruzione del personaggio e del suo mondo sulle fonti storiche primarie, ho dovuto integrarle con l’immaginazione, l’intuizione e la psicologia, secondo il criterio della verosimiglianza, tra il vero della storia e il vero della narrativa, come insegna Alessandro Manzoni. Per questo, con scrupolo di storica, nel romanzo ho dato al personaggio narrativo il nome trasparente di Limpida Sorgente, per distinguerlo dal personaggio studiato nel saggio storico Polifonie. Le donne a Venezia nell’età di Moderata Fonte (seconda metà del secolo XVI), qui attenendomi rigorosamente ai dati certi.”

D. – Nel Suo romanzo, alla Storia ufficiale si contrappone la storia privata.
R. – “La nuova «Storia sociale», «Nouvelle histoire», sorta nel Novecento, ha mostrato i limiti della Storia tradizionale, quale si è sempre praticata e insegnata nelle scuole, dando visibilità solo a guerre, rivoluzioni, dinastie regnanti, grandi avvenimenti pubblici, politici, militari, economici, culturali e ignorando il vissuto quotidiano della gente.
Nel solco aperto da questa innovativa concezione «sociale» della storia, sotto la spinta del femminismo, dagli anni Sessanta del Novecento in poi, si è sviluppata la nuova Storia delle donne o Storia di genere. È questa che si riflette nel mio romanzo More veneto: una storia raccontata anche dal punto di vista delle donne e della loro identità di genere, con un approccio diverso, che cambia la percezione dei fenomeni.”

D. – Secondo Lei, la Storia è maestra del nostro presente?
R. – “Il rapporto collettivo e individuale con il passato storico è complesso. La massima ciceroniana Historia magistra vitae può essere intesa in vari sensi. Gli avvenimenti storici si presentano sempre in modo differente in epoche e in contesti sociali diversi. Tuttavia certi fenomeni attuali servono a capire il passato, e viceversa fenomeni dei secoli lontani spiegano certe persistenze e sopravvivenze nel presente o nel nostro ieri. Secondo lo storico francese Fernand Braudel, «Passato e presente si illuminano a vicenda». Infatti esiste una storia di «lunga durata», longue durée, secondo la sua definizione, che attraversa i secoli e arriva fino a tempi molto recenti, per la persistenza di ideologie, valori, quadri mentali, stereotipi, pregiudizi, condizionamenti psichici. Come in More veneto insegna il professor Tassinari, «nel passato sono le radici del presente» (p. 194).

Il nucleo tematico più profondo del romanzo More veneto è il rapporto individuale con il passato storico. Nel bacaro, a  p. 177, Lorenza, nella conversazione con Dia, riesce a chiarire all’amica e insieme a se stessa – per l’effetto che ha la parola parlata, un mezzo per comunicare, ma anche per pensare – la sensazione o l’intuizione che è parte della sua esperienza veneziana: appunto la scoperta intellettuale ed emotiva della «dimensione temporale», quella a cui, nel quadro di Giorgione, sembrano alludere lo sguardo della vecchia ritratta e l’enigmatica scritta «Col tempo» sul cartiglio  nella sua mano (p. 155). Si veda l’immagine sulla copertina del libro. Senza questa dimensione saremmo «appiattiti sul presente come sfogi», sogliole, una metafora suggerita dalla «venezianità», in cui la protagonista si trova immersa. Infatti questa pietanza, usuale a Venezia, suggerisce molte metafore agli abitanti, per esempio, sfogi sono argutamente definiti i turisti giapponesi in gruppo.

Questo «appiattimento» sul presente, senza memoria e coscienza del passato, è la tendenza dell’epoca della comunicazione e tanto più dell’era digitale, peraltro incominciata nel corso degli anni Novanta del Novecento, dopo la data della vicenda narrata.

Dell’esperienza di Lorenza fa parte anche la malinconia della Storia, il senso leopardiano dell’effimero passaggio di individui e di generazioni sulla Terra. Si veda l’episodio sul vaporetto, a p. 128: la lugubre formula, «memento quia pulvis es» dell’imminente mercoledì delle Ceneri, che tra poco chiuderà il Carnevale veneziano, appare «il senso della Storia».

D. – Perché ha scelto Moderata Fonte come una delle protagoniste di More Veneto? Che cosa l’ha colpita di questa donna?
R. – “Conoscevo questa scrittrice dal 1978, quando era stata riscoperta dopo quattro secoli di dimenticanza e il suo dialogo Il merito delle donne era stato ripubblicato in modo parziale, per la prima volta nell’epoca moderna, a cura di Anna Jaquinta. La pubblicazione di questa originale opera aveva avuto molta risonanza, perché l’autrice era una delle prime scrittrici a riemergere dall’oblio e perché il dialogo mostrava una tematica protofemminista, straordinaria per la sua epoca, il Cinquecento.

Peraltro non pensavo di occuparmene di persona, finché mi fu chiesto dall’Associazione Culturale che si costituì nel Veneto nel 1989 e volle intitolarsi a questa letterata veneziana. Infatti l’aveva scelta come simbolo di una cultura delle donne cancellata o misconosciuta, tutta da riscoprire e da valorizzare. Voleva portare sulle scene il suo dialogo Il merito delle donne e, poiché io ero nota anche come drammaturga, mi chiese di farne l’adattamento teatrale.

Incominciai ad approfondire tutta la produzione di Moderata Fonte e le testimonianze, molte inedite, sulla sua vita. La figura di donna e di scrittrice che ne emergeva aveva su di me un fascino particolare. Ero colpita soprattutto dal suo impegno culturale e creativo, straordinario per tutti gli ostacoli che in quel tempo venivano opposti a una donna, e dalla sua ansia di finire la sua opera maggiore nell’imminenza del parto, che per una donna era un evento molto pericoloso e che infatti le provocò la morte a trentasette anni: un’ansia di risolversi e sopravvivere nell’opera. Avevo l’intuizione di un destino femminile, nella sua singolarità e unicità. Il destino – quello assegnato, nel bene e nel male, dalle «fate madrine», ricordate nel romanzo (pp. 47, 167), che, nelle fiabe, presiedono alla nascita – è ciò che ognuno si trova ad essere e da cui deve prendere le mosse per il suo percorso di vita. E nel Cinquecento trovarsi dentro l’aspirazione a essere scrittrice significava essere una diversa e dover pagare il costo di questa diversità.

Come la sorella di Shakespeare», immaginata da Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé, Moderata Fonte è un genio «prigioniero e intrappolato in un corpo femminile», in realtà prigioniero non del corpo, bensì della condizione storico-sociale femminile del suo tempo. Dev’essere «spirito senza corpo», come si sente dire da bambina nel convento – un episodio riportato in una  fonte storica – ossia deve «sublimare» la propria condizione femminile svantaggiata, trasponendosi nello studio e nella creazione letteraria, come insegnerà alla figlia. È un Leopardi al femminile, quale è stato interpretato dal regista Mario Martone nel film Il giovane favoloso del 2014. Per questo la sua breve vita, segnata da una maternità tragica, quale è stata per tante donne nel passato, ha una grandezza eroica.

Oltre a elaborare l’adattamento del suo dialogo Il merito delle donne, ho fatto rivivere lei stessa nella pièce teatrale Il giardino veneziano, nell’ultimo giorno della sua vita, e poi nel romanzo More veneto.

D. Crede necessaria la costruzione di una genealogia femminile attraverso il romanzo storico?
R. – “La narrativa, come il teatro, immette certe figure femminili riscoperte nell’immaginario collettivo, integrandolo. Anch’essa contribuisce così a costruire un retroterra storico, culturale e simbolico di genere, quale hanno sempre avuto gli uomini e invece non hanno avuto le donne, un retroterra necessario alla singola persona per completare la sua dimensione esistenziale: non si può esistere come se si fosse nate e nati oggi. Certe figure storiche vengono assunte come esempi, modelli, simboli, di cui abbiamo bisogno per pensare, per esprimerci e per agire. Tali figure abbondano al maschile, i padri simbolici, mentre sono state assenti quelle al femminile, che solo di recente hanno incominciato a popolare l’immaginario. Le donne di valore che stanno riemergendo dall’oblio hanno appunto la funzione insostituibile di madri simboliche, per costruire una genealogia di genere.

More veneto è un romanzo non sul personaggio storico e sulle sue vicende biografiche, narrate in ordine cronologico, come avviene normalmente nei romanzi storici, bensì sul rapporto tra una donna del nostro tempo e il personaggio storico: una metafora narrativa del rapporto tra le donne di oggi e il loro passato storico di genere, la condizione femminile qual era in quel passato. La loro storia è quella che è stata, ma anche quella che non è stata, ma ha una sua realtà nella coscienza odierna: la storia diversa che sarebbe potuta essere, se, per ipotesi controfattuale, dal potere culturale dominante non fossero state represse ed escluse le voci critiche femminili, per esempio, tra Cinquecento e Seicento, lo straordinario protofemminismo di Moderata Fonte, Lucrezia Marinelli e Arcangela Tarabotti.

Nella vicenda di More veneto la scoperta del passato di genere è rappresentata – con la concretezza della narrativa e con la sua leggerezza di stile – dalla scoperta casuale di un’antica scrittrice dimenticata. All’inizio Lorenza viene colpita dal suo magnetico ritratto, testimoniato come autentico, vera effigies, e non meno dalla suggestiva testimonianza biografica sulle sue facoltà paranormali di preveggenza: nelle severe sale della Biblioteca Marciana avviene l’incontro inaspettato con una personalità risorta. In seguito la condizione femminile nel suo tempo viene intuita per una forma di immedesimazione, nei suoi momenti di vita, evocati a tratti dalle pagine del  libro e via via da documenti, oggetti e luoghi, nella città dove visse; la voce stessa dell’antica scrittrice risuona spesso nelle frasi citate della sua opera. Per queste rievocazioni, ho usato la tecnica cinematografica del flashback, un espediente che contribuisce alla struttura complessa del romanzo. Le arti, narrativa e cinema, si scambiano i linguaggi, contaminandoli.

Venezia è città storica per eccellenza, dove ogni luogo trasuda memoria del passato e apre una “dimensione temporale”. Il ruolo svolto dall’ambientazione veneziana è già indicato nell’epigrafe del romanzo, «Campo Santa Maria Formosa». Infatti l’autrice o l’autore di solito si esprime anche con i vari elementi del «paratesto».

L’epoca remota ritorna col suo vissuto, oltre la Storia ufficiale, quella tramandata nei libri di storia, che decretano arbitrariamente ciò che è importante e ciò che va taciuto.”

D. – La protagonista dell’opera scopre nel testo di Moderata Fonte un insegnamento atemporale. Quale il rapporto tra la donna moderna e il personaggio storico?
R. – “Nel romanzo il rapporto che si stabilisce tra la donna moderna e l’antica scrittrice non è solo di razionale conoscenza, ma anche di «intelligenza emotiva», come è definita da Daniel Goleman, e di empatia. E svolge un’azione terapeutica, nella particolare situazione di disagio esistenziale in cui si trova Lorenza.

Infatti la riappropriazione del passato storico collettivo è stato paragonato all’emersione del passato individuale rimosso, che la psicanalisi di Freud propose all’inizio del Novecento. Tanto più pertinente è questo paragone se riferito al passato storico di genere, che rivela alle donne la loro differenza, qual è stata nei millenni, e fa emergere un «rimosso» femminile, per il quale  mancano perfino le parole. E proprio trovare «le parole per dirlo», secondo il titolo del libro di Marie Cardinal, è l’inizio di un percorso di consapevolezza e di liberazione. Come insegna appunto la psicanalisi, l’unico modo per superare la persistenza sotterranea del passato è conoscerlo ed «elaborarlo»; questo vale sia per il passato individuale, sia per il passato storico collettivo.

Le eredità più gravi del passato di genere sono certe carenze segrete, che è difficile riconoscere ed esprimere. Infatti Lorenza confessa di essersi trovata in uno stato di soggezione dal marito, una dipendenza psichica dovuta alla mancanza di senso della propria vita e al bisogno di un uomo che glielo desse (p. 109). Riuscire a dirlo è un modo di superarlo e già mostra l’acquisizione di un nuovo senso di sé.

La storia delle donne è specificamente di «lunga durata». Il mio saggio Le parole di ieri sulla donna. Una ricerca di genere sulle nostre radici culturali (Padova, Cleup, 2012) è appunto una raccolta ragionata di secolari stereotipi sessisti, difficili da sradicare. Nel romanzo sono citati due proverbi, i principali veicoli degli stereotipi, uno testimoniato nel Cinquecento, «All’uomo la penna e alla donna conviene l’ago», e uno vivo fino a tempi recenti, «Abbi donna di te minore, se vuoi essere signore».

La citata frase dello storico Fernand Braudel, «Passato e presente si illuminano a vicenda», è vera soprattutto per la condizione femminile. Può essere una chiave di lettura – una delle tante possibili – del mio romanzo More veneto.

D. Crede che le donne siano state condannate all’oblio?
R. – “La cancellazione dell’elemento femminile nella storia, nel linguaggio, nell’universo simbolico è uno dei dati più rilevanti della cultura patriarcale, in quanto androcentrica. Una cancellazione occultata sotto una mistificante “neutralità” di genere. Recuperare la presenza dell’«altra metà del cielo», secondo l’espressione di Mao Tse Tung, è il compito della nostra epoca.”

D. – Quali autori hanno influenzato la Sua opera?
R. – “In fatto di letture sono onnivora, e sono debitrice a molti autori e a molte autrici sia per quanto ho ricevuto da loro sia per quanto ho rifiutato, infatti anche ciò che rifiutiamo è illuminante e ci aiuta a capire «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», secondo i versi di Eugenio Montale.

Limitando il discorso alle opere d’invenzione, narrative e drammatiche, riconosco che hanno nutrito il mio teatro le esperienze più varie, da Pirandello al Teatro di strada, da Cechov a Beckett, da Brecht a Sartre. Quanto alla narrativa, sento affini alcuni autori e alcune autrici più di altri, ciascuno e ciascuna per certi aspetti, o per lo stile, o per l’ottica di genere, o per la complessità della loro identità di narratori e insieme di saggisti, o per la vastità della cultura presupposta dalla loro opera: Virginia Woolf, originale narratrice – straordinario il suo romanzo Orlando – e lucida saggista; Anna Banti, raffinata narratrice e rigorosa storica dell’arte; Italo Calvino, efficace narratore e acuto saggista. Nel mio romanzo l’ironico «veneziano inesistente», il costume carnevalesco vuoto, issato sul trespolo in mezzo alla calle (p. 127), riecheggia il «cavaliere inesistente» di questo scrittore.  

D. – Secondo Lei, quali letture sarebbero fondamentali al giorno d’oggi?
R. – “L’elenco sarebbe lungo, in questa sede mi devo limitare a qualche titolo. Il saggio Il secondo sesso della filosofa e narratrice francese Simone de Beauvoir ha illuminato tutta la cultura seguente: quando uscì, risultò tanto rivoluzionario, che la Chiesa cattolica nel 1956 lo mise all’Indice dei libri proibiti. Paolo Ercolani, con il suo impegnativo saggio Contro le donne: storia e critica del più antico pregiudizio (Venezia, Marsilio, 2016), può rappresentare una nuova generazione di studiosi e di uomini, che rifiutano l’eredità culturale del patriarcato e collaborano con le donne nella costruzione di una cultura paritaria, per la parità di genere nella differenza.”

D. –   Come riesce a conciliare la ricerca, l’insegnamento e la produzione narrativa?
R. – “La ricerca, l’insegnamento, la narrativa e il teatro si conciliano bene nella mia ispirazione, tutti fornendomi spunti e materia di riflessione e di invenzione – l’intelligenza è connessione: tout se tient – al contrario si conciliano male quanto all’impiego di tempo richiesto.

Nel mio saggio Scrittrice o scrittore? Una ricerca di genere sulla creatività letteraria (Padova, Cleup, 2015) ho riflettuto sulle varie condizioni che favoriscono oppure ostacolano la creatività letteraria e il lavoro intellettuale, in generale, sia per gli uomini sia per le donne, e in particolare per le donne. Determinante per tutti è il fattore del tempo disponibile, che alle donne di solito viene sottratto anche dal lavoro di cura per bambini, anziani, ammalati, un lavoro invisibile dal quale non sono esonerate le intellettuali: anche per queste vale il concetto della “doppia presenza”, o doppio ruolo femminile, pubblico e privato, elaborato dalla sociologa Laura Balbo. Quando si considera la produzione culturale femminile, bisogna sempre tener presente la diversa condizione di genere e il diverso “merito delle donne”, secondo il titolo del dialogo di Moderata Fonte.”

D. – Quali sono i Suoi progetti futuri?
R. – “Per una scrittrice ogni progetto ha il limite dell’opera in cui è calata in quel momento e che l’assorbe completamente. E di ogni opera è bene parlare quando è compiuta.”