CHI PERDE LA SUA VITA
Romanzo
Roma, Transmedia, 1982
In copertina:
Tono Zancanaro, Carusi, disegno, 1958 (particolare)
Incipit
“Le vie porticate si snodavano tortuose, tra vecchi muri ingrommati di muffa, facciate incombenti di antiche basiliche, portoni chiusi di palazzi patrizi in letargo: erano quasi deserte, in un’ora tarda e torpida, immerse in un grigiore di giornata nebbiosa. Correvo affannosamente e il rumore della mia corsa si ripercuoteva sotto le volte dei portici: svoltavo spesso, per far perdere le mie tracce, e quando avvistavo qualcuno dei rari passanti mi nascondevo dietro i grossi pilastri. Fuggivo.”
Il romanzo narra la “scoperta del presente” e la liberazione interiore di una donna repressa e depressa, che ha subito fino in fondo l’oppressione della cultura patriarcale in ambiente borghese. Liberazione che è provocata, in un clima presessantotto, dall’esperienza di ambienti, civiltà, persone profondamente “umani”: una certa provincia veneta, la sopravvivenza e gli ultimi echi della civiltà contadina, un uomo “diverso”. L’andamento in gran parte descrittivo della narrazione vuole rendere questa esperienza lenta e progressiva, che si compie attraverso la quotidianità, le abitudini, lo scorrere eguale dei giorni. Il romanzo è costituito, con un flashback, di due storie, la seconda che scaturisce dalla prima, come un suo improvviso prolungarsi nella profondità temporale, e insieme ne dà la chiave. Sono due piani di scrittura, di tempo, di memoria e di coscienza, distinti per la collocazione e per l’espressione, ma legati da una necessità intrinseca: il racconto che la protagonista scrive alcuni anni dopo il periodo trascorso a Castelfranco (parti I e III) e i ricordi, per scene staccate, così come sono rivissuti, che scrive in quel periodo (parte II). Anche il disseppellire i propri ricordi rimossi, in uno scrivere che è terapeutico, fa parte di una stessa esperienza liberatoria.
Per descrivere, nella seconda parte, la formazione della protagonista, in un certo periodo storico, l’autrice ha attinto a ricordi propri e di altre donne, in particolare alle testimonianze dirette di vissuto femminile che emergevano nei “gruppi di autocoscienza”, la pratica politica degli anni settanta. Il romanzo ha anche una valenza storica e antropologica.
“[…] Chi perde la sua vita, like the narratives of Belotti, Ramondino and Di Maggio, recounts the story of a failed encounter and demonstrates the difficulty of portraying autonomous female identities. By exposing certain oppressive psychic and cultural structures that hamper the development of mature relationships between the sexes, however, these writers participate in the feminist project of progressive liberation from these same paradigms.”
Carol M. Lazzaro-Weis, “From Margins to Mainstream: Some Perspectives on Women and Literature in Italy in the 1980s”, in Santo L. Aricò (ed.), Contemporary Women Writers in Italy. A Modern Renaissance, Amherst, The University of Massachusetts Press, 1990, p. 211.
“La perdita progressiva dell’identità culturale di una certa provincia veneta e la ricerca, condotta da una giovane donna, di un rapporto soddisfacente con la realtà sono i temi che si sviluppano insieme in un’opera «prima» narrativa di grande respiro ed eccezionale forza espressiva. Non a caso il libro ha ottenuto il Premio letterario Noi Donne 1983 ed è stato il primo segnalato al Premio Internazionale Ascona.”
Pino Lo Voi, “Una donna in provincia. La storia di un viaggio alla ricerca della propria identità, sviluppata nella realtà della provincia veneta. La serenità dei paesaggi, i luoghi decadenti del «viaggio»”. Solathia-L’informatore librario. Mensile di cultura e informazione bibliografica, agosto 1984.
“È un viaggio, questo di Daria Martelli, attorno al suo piccolo ambiente, dove i problemi più vasti del mondo si rifrangono senza rumore, attorno a quei paesi veneti carichi di struggente bellezza; ma è anche un viaggio che va nel profondo, dentro l’anima, dove recupera la vastità dei problemi di tutti e coi quali è giocoforza che il lettore si confronti. […] Si aggiunga uno stile asciutto, in perfetta consonanza col narrato, l’immediatezza delle immagini (la Martelli ama quei paesi della provincia veneta che descrive) e l’uso dell’io narrante come espediente per penetrare nei personaggi, e si avrà come risultato un romanzo dall’orditura sapiente, dai colori ben dosati, complessivamente armonico.”
Piero Nenci, Recensione, Letture, ottobre 1983.
“Bisogna sfuggire all’immediata tentazione, una volta letto il romanzo, di considerarlo un’opera autobiografica, tanto è dolente e autoanalitica la descrizione delle vicende esterne e interiori della protagonista, Valeria. L’autrice infatti ci ammonisce che <<rivendica il diritto, senza il quale non c’è creazione poetica, di appropriarsi del vissuto degli altri>>; del resto una chiave di lettura autobiografica o personalistica ridurrebbe il respiro di un romanzo, in cui si percepisce il disagio di tutta una generazione vissuta tra la contestazione e il femminismo.”
Renata Cibin, Recensione inedita, 1983.
Carol M. Lazzaro-Weis,
“From Margins to Mainstream: Some Perspectives on Women and Literature in Italy in the 1980s”, in Santo L. Aricò (ed.), Contemporary Women Writers in Italy. A Modern Renaissance, Amherst, The University of Massachusetts Press, 1990, pp. 208-209, 210-211, 2016.
Graziella Pagliano,
Clandestini di carta. Avventure letterarie di donne, bambini, stranieri, Roma, Aracne Editrice, 2006, cap. VIII, pp. 216-217.
Pino Lo Voi,
“Una donna in provincia. La storia di un viaggio alla ricerca della propria identità, sviluppata nella realtà della provincia veneta. La serenità dei paesaggi, i luoghi decadenti del «viaggio»”, Solathia-L’informatore librario, agosto 1984.
Piero Nenci,
Recensione, Letture, ottobre 1983.
Gabriella Imperatori,
“Daria Martelli scrittrice emergente. Esordio sia in narrativa che in teatro. Da Le streghe (Premio Vallecorsi) al romanzo Chi perde la sua vita ambientato negli anni sessanta”, Intervista, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, 1 giugno 1982.
Stefania Giorgi,
Intervista con Daria Martelli, “Scrivere è il mio vizio. Daria Martelli, vincitrice dell’edito”, Noi Donne, agosto 1983.
Renata Cibin,
Recensione inedita, 1983.
Carla Cavalli,
Recensione, Arte triveneta, ottobre 1982.
I testi critici sono disponibili per la consultazione presso l’autrice.