LE VITE DI FABRIZIA

Romanzo

Milano, Edizioni La Vita Felice, 1997

In copertina:

Acquerello di Alessandra Pucci (1997)

Il libro è dedicato alla memoria di Angela Gorini

Paolo Ruffilli,
Recensione, Ateneo Veneto, 1997, 185° anno accademico, anno CLXXXIV (=XXXV N. S.) , vol. 35 , pp. 287-289.

       Nell’esperienza contemporanea la realtà appare ingarbugliata, complessa e contraddittoria, tutt’altro che lineare. Lo scrittore non si arrende al disordine e al caos, ma tenta una possibile comprensione attraverso la propria coscienza lacerata e frantumata, operandone una trascrizione, per cercare un senso in quello che apparentemente senso non ha. In un modo insomma tutto moderno, fuori dalla linearità dei romanzi del secolo passato e senza nostalgie antiquariali.
       È questa la scelta narrativa di Daria Martelli, che, nel suo romanzo Le vite di Fabrizia, trascrive la complessità e la molteplicità della vita e del mondo attraverso diversi punti di vista. Infatti la storia non viene narrata secondo un’ottica univoca, meno che mai secondo l’ottica univoca del narratore ottocentesco, che, guardando dall’alto, vede tutto a trecentosessanta gradi e tutto crede di poter chiarire al lettore. No, in Le vite di Fabrizia i diversi punti di vista si confrontano e si rispecchiano tra loro. La conseguenza è che, nella versione dei diversi testimoni la vita della protagonista si moltiplica in altrettante interpretazioni.
       Si racconta dunque la vita di Fabrizia e si prende atto, intanto, di un aspetto fondamentale: la sua straordinaria potenzialità narrativa. Ma, anche raccontandola in un modo che è all’ennesima potenza, si resta sempre al di sotto del compito di narratore. La protagonista è lei stessa incerta sulla propria vita, che le appare in forme e significati diversi, eppure nella loro diversità coincidenti, intrecciati e mescolati. Quale modo migliore di farli risaltare che una molteplicità di punti di vista? Ecco le visioni di tre io diversi: quello della protagonista e quelli di due coprotagonisti, la sorella Olga e l’amante Renzo. Ma non basta. Un altro io raccoglie le visioni, le ricapitola e le testimonia a sua volta da un altro punto di vista.
       Daria Martelli sa bene che nessun testimone è mai obiettivo. Quindi, in un confronto di punti di vista che scorrendo paralleli si rispecchiano l’uno nell’altro, il lettore ha un’opportunità in più per capire chi sia o chi possa essere Fabrizia. Ma, decifrando la storia di Fabrizia, fa lui stesso un percorso di conoscenza, alla ricerca del proprio essere e della propria identità.
       La costruzione di questo libro si potrebbe definire “a scatole cinesi”. Infatti ciascun punto di vista è confinato, almeno apparentemente, in un recipiente chiuso, che è la divisione in parti. Ciascuna scatola è contenuta nelle altre ed è estraibile. Per tale connessione le scatole esercitano interferenze l’una con l’altra; interferenze ricapitolate dalla testimonianza che fa da contenitore di tutto, il racconto del medico che al Pronto Soccorso raccoglie le confidenze della protagonista ferita in un incidente stradale e degli altri due personaggi, Olga e Renzo, che arrivano nella notte al capezzale di Fabrizia.
       Proprio in tali interferenze è un aspetto del romanzo coinvolgente e molto interessante sul piano tecnico. Un aspetto che va sottolineato: lungo tutto il romanzo, come se improvvisamente si toccassero due fili scoperti, avviene una sorta di ripetuto contatto shock, un continuato intermittente effetto drammatico. Un effetto prodotto da una ricorrenza continua, che, pur non essendo mai espressa dall’autrice in modo esplicito, tuttavia si produce dietro le battute dei personaggi.
       Del resto buona parte del romanzo è fatta di dialogato; non per caso nell’esperienza di Daria Martelli c’è il teatro, che su di lei esercita un fascino sottile e profondo. Il dialogo è non solo quantitativamente significativo, ma anche fondamentale dal punto di vista narrativo. Infatti, come dicevo più sopra, dalle battute di dialogo, del tutto naturalmente e impercettibilmente, scoccano scintille, provocando piccoli traumi ed evocando qualcos’altro. Che cosa? La possibilità dell’impossibile o, se si vuole, le possibilità ulteriori. Perché niente in realtà è come sembra, e, anche quando è davvero quello, è insieme altro o poteva essere altro.
       Il romanzo bene rappresenta la condizione dell’essere continuamente a un bivio nella vita. In uno stato di mobilità in cui un’impercettibile deviazione ci sposta sempre altrove rispetto a quello che pensavamo di essere e che volevamo diventare. E, in questa situazione di deriva, i personaggi devono fare i conti con se stessi: chi prima e chi dopo, chi con maggiore chi con minore consapevolezza.
       La protagonista questi conti li fa in una maniera tutta sua e affascinante, mescolando realtà e sogno in una soluzione chimica particolare, che non è menzogna, come invece pretende la sorella Olga, o come comincia a pensare l’io di cornice, il medico del Pronto Soccorso.