
SCRITTRICE O SCRITTORE?
Una ricerca di genere sulla creatività letteraria
Saggio
Prefazione di Gabriella Imperatori
Padova, Cleup, 2015
In copertina:
I segreti dell’anima. Scultura di Romeo Sandrin.
Il libro è dedicato alla memoria della madre dell’autrice, insegnante Anna Arciero
In Appendice:
Interviste con Gina Lagorio, Francesca Duranti, Grazia Livi, Carla Cerati, Giuliana Berlinguer, Paolo Ruffilli.
La condizione della scrittrice nel Seicento. Lucrezia Marinelli, Essortationi alle donne et a gli altri, se a loro saranno a grado, 1645, Capitolo II.
Lucia Zaramella,
Recensione, http://gribs.fisppa.unipd.it/
L’inglese Jane Austen (1775-1817), quando qualcuno entrava nel salotto dove scriveva, nascondeva i propri fogli; a distanza di qualche secolo, la sudafricana Nadine Gordimer (1923-2014), Nobel per la letteratura nel 1991, all’inizio scriveva di nascosto: due scrittrici, due secoli diversi, due latitudini, ma sempre lo stesso profondo senso di malcelata illiceità, di disprezzo per lo scrivere di una donna.
Scrittrice o scrittore? Il genere fa la differenza? Questione da focalizzare, domanda provocatoria a cui Daria Martelli risponde nella sua opera, indagando nell’universo letterario femminile dominato da un’imperante misoginia della cultura, minimizzata o volutamente misconosciuta per millenni.
Il famoso monito di Pindaro “Diventa ciò che sei” è sempre stato negato alle donne, a metà dell’umanità (ivi, p.85).
Saggio ricco di stimoli e di rimandi, agile nella lettura, questo della Martelli, che ripercorre l’emarginazione femminile nella società letteraria attraverso numerosi esempi, soprattutto di scrittrici.
L’autrice analizza le basi storico-sociali, oltre che psicologiche, della creatività letteraria, mette in luce come la genialità femminile sia sempre stata negata e ciò va ricercato “nel millenario pregiudizio, di ascendenza classica e giudaico-cristiana” (ivi, p.33) sia nella tradizione orale sia in quella scritta dotta.
Alcuni autorevoli esempi in tal senso, tra i tanti citati, sono: J. J. Rousseau, il quale, sia nell’Emilio o dell’educazione sia nella Lettera a D’Alembert, sostiene l’inferiorità intellettuale delle donne, che sono prive di genio (ivi, pp.35-36); Giuseppe Sergi, fondatore della Scuola antropologica romana, alla fine dell’800, che afferma che il genio è una caratteristica esclusivamente maschile; il freudismo, più che Freud, ancora nel ’900, sostiene un acceso sessismo, tanto che “la svalutazione delle donne è diventata parte dell’inconscio collettivo, l’aspetto più orrendo del dominio patriarcale” (ivi, p.40).
E in tempi più recenti, agli inizi degli anni ’60, altrettanto significativo è l’episodio avvenuto a Roma nel caffè Rosati, quando il critico letterario Angelo Guglielmi e Alfredo Giuliani non degnano della minima considerazione una giovane bellissima (oggi scrittrice famosa), già autrice di un romanzo, che non avevano letto, dandone per scontata l’inutilità proprio perché scritto da una donna. Bisognerà arrivare agli anni ’70 del Novecento per segnare un’inversione di tendenza, una linea di spartiacque con l’inizio del recupero delle opere di donne del tutto ignorate dalla storia tradizionale.
Tutti questi fattori storico-culturali misogini non possono che aver influito sulla creatività femminile, perché, se è vero che un soggetto scrive per lasciare un segno di sé, per dare un senso alla propria vita, parafrasando Orazio “Non omnis moriar ” (ivi, p.45), la prima condizione per farlo è la libertà mentale, che genera audacia, fiducia in sé, spalanca nuovi orizzonti e porta a riconoscere nel caso la bontà del risultato: la serendipità di cui parla l’inglese Horace Walpole (ivi, p.53).
Al contrario, una persona che a priori sa di non essere considerata non ha stimoli, non riesce a liberare il proprio potenziale creativo. Oltre che di sicurezza, la creatività ha bisogno di tempo, di esercizio, di istruzione, di relazioni, tutte condizioni molto difficili per le donne. Molto efficace a questo proposito il proverbio: “Le donne colte sono come le scarpe strette, non vedi l’ora di levartele dai piedi” (ivi, p.79).
La donna non si sente autorizzata a scrivere, spesso prova un senso di vergogna, perché lo scrivere è sentito come un atto anomalo, anche se ora la situazione è molto cambiata.
Da ultimo, ma non meno importante, alle donne sono stati negati i modelli di riferimento, tolti dalla tradizione di genere.
Il saggio della Martelli è corredato da due interessanti appendici: nella prima sono riportate le interviste, da lei stessa realizzate in anni passati, alle scrittrici Gina Lagorio, Francesca Duranti, Grazia Livi, Carla Cerati, Giuliana Berlinguer e a Paolo Ruffilli, direttore editoriale, poeta, critico e giornalista; nella seconda è ripresa una parte dell’opera di Lucrezia Marinelli (1571-1653), Essortationi alle donne et a gli altri, se a loro saranno a grado, 1645, (testo scoperto in anni recenti) in cui la scrittrice veneziana ritratta quanto detto nel testo giovanile Le nobiltà et eccellenze delle donne et i difetti e mancamenti de gli huomini (1600): aveva evidenziato non solo le qualità delle donne, ma addirittura sostenuto la loro superiorità sugli uomini.
Nelle Essortationi invece la Marinelli “sconsiglia alle donne di dedicarsi alle lettere” (ivi, p.127), dando testimonianza non solo della misoginia imperante, ma anche delle conseguenti devastazioni operate nella donna scrittrice (ivi, p.128).
Per concludere Giuliana Berlinguer, nell’intervista citata, afferma: “Se tutte noi donne cercassimo di essere tutto quello che possiamo, questo sarebbe già una grande rivoluzione” (ivi, p. 121).